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NO TAP. IO L'OTTO


“Meglio morire in piedi che vivere una vita in ginocchio” è la scritta che ci saluta all’ingresso di Melendugno dove ci sono arrivato in auto assieme a mio fratello Giovanni. Dopo qualche centinaio di metri dall’ingresso del paese, parcheggio  l’automobile e ci dirigiamo a piedi per Piazza Pertini dove, nella giornata dell’Immacolata, il Comitato NO TAP ha organizzato la manifestazione “contro TAP e le grandi opere inutili. Io l’otto”. Alle nove del mattino la piazza è ancora semideserta; alcuni ragazzi giocano vicino al presepe, dove una signora ci fa notare che sul volto del pastorello è rimasta sospesa una goccia di rugiada che pare essere una lacrima. Rimiriamo lo straordinario effetto per un solo attimo: il tocco della statua da parte di un ragazzo in corsa fa cadere la goccia e il pastorello smette di piangere. Intanto la piazza ha iniziato a colorarsi di felpe, bandiere e insegne di ogni tipo (anche un ombrello arcobaleno) con la scritta “NO TAP, né qui né altrove”.
“Meglio morire in piedi
che vivere una vita in ginocchio”

Dalla strada a lato della piazza sopraggiunge un camioncino col suo gracchiante altoparlante che grazie alla musica che riproduce accresce il calore dei raggi del sole che, in questa terra, è caldo anche a dicembre. Il brano che risuona è sempre lo stesso, Piove di Treble & Dangeroots, che è interrotto da un unico annuncio che proseguirà per tutto il periodo che siamo rimasti fermi: “c’è da spostare una Renault Clio”. Non so per quale impiego venga utilizzato quotidianamente il furgone, ma dà l’impressione di uno di quegli automezzi usato dagli ambulanti di frutta e verdura: è davvero sorprendente pensare che in lontananza un passante ignaro della manifestazione possa confondere tutto questo per la solita vendita domenicale delle noccioline. Chissà, forse la domenica il furgone è in piazza proprio per le noccioline, mentre ora guida un corteo di gente libera che ha scelto di non farsi fregare: da queste parti l’abito continua a non fare il monaco!

Alcuni pannelli sono poggiati sul muro del bar e descrivono l’impatto ambientale della centrale di depressurizzazione che sta per nascere qui a Melendugno, verso cui sarà diretto il corteo. La piazza è ormai affollata; incuriosisce un signore anziano le cui mani grosse e tozze non nascondono il loro legame con quella terra che continua a darci da mangiare. L’attempato signore ha appeso al collo una grande foto che gli copre il corpo dalle spalle alle caviglie, su cui è stampata l’immagine di un tronco d’ulivo secolare chino verso la terra ed un appello “NO TAP. INCHINO ALLA NATURA, SALVATECI”. Mi intrattengo per qualche minuto con lui ed altri due suoi compaesani e mi spiega che quell’albero si trova nella sua proprietà e che seguirà il destino di altre migliaia di alberi secolari che il mostro (“il mostro” è il nome con cui è indicata l’infrastruttura della TAP) strapperà dalla terra che gli è stata, per qualche secolo, madre. Alla domanda perché alla sua età sia in piazza a difendere la propria terra con un gesto così simbolico, con occhi molto sinceri mi risponde: “percè me veni te inta lu cori”; una frase che da queste parti esprime sentimenti talmente profondi da poterci scrivere un libro. L’altro suo compaesano aggiunge “ho 75 anni e sono qui non per difendere il mio futuro ma per quello dei miei nipoti”.
“NO TAP.
INCHINO ALLA NATURA, SALVATECI”
La piazza è ormai piena di gente e per qualche centinaio di metri, sull’adiacente via Roma, è iniziato a prender forma il corteo. Prima della partenza dal megafono del furgone, uno degli organizzatori invita i manifestanti ad evitare qualsiasi confronto con il personale delle forze di sicurezza che, stando al numero delle divise presenti in piazza, pare essere assai esiguo. A questo punto solleviamo gli striscioni da terra e ci organizziamo per la partenza.
“i soliti facinorosi dei centri sociali” 
Davanti a me e Giovanni c’è l’ombrello arcobaleno con la scritta “No Tap”, mentre dietro ci segue lo striscione, sorretto da tre medici, della Associazione Italiana Medici per l’Ambiente. Vi posso fotografare? – gli chiedo – almeno potremmo testimoniare, contro la disinformazione di una certa stampa, chi sono “i soliti facinorosi dei centri sociali” che dicono no al mostro (anche a me il nome “mostro” inizia ad essere familiare).
 Una piccola bandierina di stoffa rossa, che pare essere uno di quei lavoretti natalizi che si fanno alle scuole elementari, è tenuta in mano da una bambina; da una parte è attaccato un sole giallo, un albero dal tronco marrone e la chioma verde, delle onde azzurre e un foglio bianco con la scritta «Si all’energia da fonti rinnovabili», mentre dall’altra ci sono appiccicate le lettere che compongono la scritta NO TAP e due piccole campanelle in alto a destra. Mi intrattengo con i genitori della bambina e scopro che il padre, il 4 luglio del 2017, è stato denunciato e multato per aver partecipato ai blocchi stradali contro i mezzi del cantiere che portavano via gli alberi di ulivo espiantati, nonostante vigesse per TAP il divieto, da giugno a settembre, di non lavorare sulla costa. Questo caso quasi emblematico fa riflettere sull’esercizio della giustizia che si accanisce di più (o solamente) su chi commette un’infrazione in difesa di un suo diritto leso e non su chi lede, specie se quest’ultimo non è un semplice e anonimo cittadino.
Da questo pensiero mi desta la vicina e forte voce di un megafono tenuto in mano da un sindacalista di Brindisi, anche lui da decenni impegnato nelle battaglie in difesa dell’ambiente (oltre a quelle per il diritto al lavoro). Personalmente considero costui una persona esemplare, una sorta di modello di coerenza in quanto persona talmente libera da rimanere fedele ai propri ideali.
Guardando alle nostre spalle, ci pare essere in una posizione più avanzata rispetto a quella di partenza; è solo una sensazione dovuta al fatto che, strada facendo, si sono accodati un gran numero di altri partecipanti (in seguito i mezzi di informazione parleranno di circa mille partecipanti anche se a me son sembrati tantissimi di più). Appena lasciamo le ultime case del paese per prendere la via verso il cantiere, dove TAP ha intenzione di realizzare la centrale di depressurizzazione, veniamo sorvolati a bassa quota da un grosso elicottero della polizia. Il rumore è assordante e, nello stesso tempo, inquietante. L’atmosfera pacifica e rispettosa del corteo è rovinata dal fragore del velivolo, che infastidisce e indispettisce. Ci fermiamo, quasi a volergli comunicare che quel volo a bassa quota non ha senso, nella speranza di vederlo allontanare. Ma è tutto vano, l’elicottero continuerà controllare il corteo sino all’arrivo al cantiere. Il rombo assordante produce pensieri…: perché ci stanno controllando in questo modo? Vogliono salvaguardare la sicurezza dei manifestanti, o vogliono semplicemente controllarci? Mi accorgo che le stesse domande se le pongono anche gli altri, visto che un altro manifestante ad alta voce esclama: «ci controllano perché siamo onesti e liberi, perciò siamo pericolosi!».

«ci controllano perché siamo onesti e liberi, perciò siamo pericolosi!»

La strada si fa dritta e il corteo è completamente allungato davanti ai nostri occhi, siamo davvero in tanti! Respirare la stessa aria, che tutti gli altri stanno respirando lì vicino a te, trasmette forza ma anche pensieri e così non si può fare a meno di pensare a quei politici che sono venuti qui a manifestare, a respirare quest’aria di libertà, a chiedere i voti promettendo di bloccare l’opera, per poi bidonarci con un carognesco gioco appena occupate le poltrone di governo.
Dalla Statale 29 il cantiere non si vede ancora, ma un ulivo dal color cioccolato e completamente mangiato dalla xylella fa presagire che siamo vicini all’altro disastro che colpisce gli ulivi di questa zona. Infatti appena dopo l’entrata della Masseria del Capitano, voltiamo a destra per una stradina di campagna, asfaltata per un primo tratto e viottolo di campagna poi. Da questo punto in poi la parola «mostro», usata per indicare l’impianto che sta nascendo, inizia a mostrare la propria mostruosità, nonostante siamo solo agli inizi della sua realizzazione. Una rete in plastica arancione, utilizzata per i cantieri, si allunga a perdita d’occhio tra gli alberi di ulivo; è talmente estesa che è impossibile trovarne l’inizio o la fine.
i rami ridotti a monconi,
s’alzano verso il cielo a supplicare aiuto
Siamo in uno spiazzo in cui grosse buche nella terra mostrano la passata presenza di ulivi, sicuramente secolari, che sono stati già sradicati; attorno ve ne sono altri che, completamente privati della verde chioma e con i rami ridotti a monconi, s’alzano verso il cielo a supplicare aiuto. Gli sventurati ulivi sembrano dei deportati pronti per essere caricati su un mezzo e portati via. Ma in questo luogo sventurato il «mostro» non basta per identificare il disastro che sta avvenendo, infatti è qui che si trova il «lager»: una recinzione di cemento, pali di ferro e filo spinato, che il color bruno-rossastro della ruggine rende ancor più tetro. Anche il «lager» è talmente esteso che è impossibile afferrare l’intera barriera con un solo colpo d’occhio.
All’interno vi sono i mezzi di cantiere e le forze dell’ordine in assetto antisommossa coi loro blindati. Intanto, in alto, l’elicottero continua a sorvegliare.
Qui ha termine la nostra passeggiata. Sulla via del ritorno con Giovanni proviamo a fare delle riflessioni sull’evento, ma ci riesce difficile perché siamo profondamente colpiti dalle sproporzioni del disastro sinora creato che, oltretutto, è solo una piccolissima parte se si considera quello dell’opera finita.



 Avevo sentito dire che l’area che ospiterà l’impianto misura quanto 24 (o forse più) campi di calcio. Queste misure possono significare tutto come possono significare niente; perciò, credo che chiunque voglia esprimere il proprio parere sull’opera, sia a favore che contro, deve assolutamente visitare questo luogo. Visitando l’area nei pressi della masseria del Capitano di Melendugno si può avere la giusta percezione di cosa parliamo, di cosa significa TAP, delle proporzioni del disastro che si sta realizzando.


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