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ANARCOTOUR A CARRARA


ANARCOTOUR 1ª TAPPA: CIMITERO DI TURIGLIANO

È una chiara giornata di fine autunno e nonostante l’inverno sia già alle porte pare stare in primavera. L’attesa alla stazione di La Spezia si protrae di altri 5 minuti, il treno per Carrara è in ritardo. Quest’ulteriore aggiunta di tempo la trascorro cercando di rivedere i fogli dove ho segnato l’itinerario dei luoghi di Carrara che andrò a visitare, ma riesco a concentrarmi poco: nella mente mi risuona De Andrè con la sua Morire per delle idee. Mi tormenta l’idea che spesso gli uomini devono morire per delle idee, specie per quelle libertarie, e mi chiedo: quale sarà la ragione per cui si deve morire per far vivere le idee? Perché nella storia, questo passaggio di vita dall’uomo all’idea è naturale e necessario? Arriva il treno, salgo e mi siedo accanto al finestrino. Nonostante la mia età non più tenera, lo spettacolo che osservo da un finestrino del treno in corsa conserva lo stesso fascino di quando ero bambino. Continui cambi di scena: un fiume, poi una mandria di vacche, la fattoria, un trattore, un vecchio casolare abbandonato, i visi della gente nelle auto in coda davanti ad un passaggio a livello. Intanto in lontananza spiccano, nello sfondo azzurro del cielo, le vette delle Apuane alle quali le cave di marmo hanno dato un aspetto perennemente imbiancato. Sono ad Avenza, o meglio alla stazione di Carrara-Avenza. Sono le 09.30 del mattino; Ivan, il mio compagno di viaggio in questa esperienza, dovrebbe arrivare a momenti. Alle 09.35, con un messaggio su Whatsapp, mi avvisa che è in ritardo. La cosa non mi meraviglia, il mio amico è un ritardatario quasi cronico, spero solo che l’attesa non si protragga di molto. Giusto un’ora e lo vedo arrivare con la macchina, non c’è parcheggio ed allora devo attendere altri 10 minuti finchè Ivan non lo trova. Finalmente possiamo partire per questo “Anarcotour” che deve svolgersi rigorosamente a piedi.
La nostra prima tappa è al cimitero di Turigliano, nei pressi della stazione. Dai miei appunti sappiamo che il cimitero di Turigliano ospita i resti di molti anarchici.  Seguiamo le indicazioni di Google Maps, costeggiamo il recinto del camposanto ed invece dell’ingresso al cimitero ci ritroviamo davanti ad una porticina con la scritta sul citofono “servizio crematorio”. Un signore che lavora accanto ci indica che l’ingresso al cimitero non è quello. Ripercorriamo al contrario la via già fatta e, stavolta, al rondò di Viale XX Settembre giriamo a sinistra direzione Carrara e, dopo pochi passi, ci troviamo al Parco dedicato all’anarchico Gaetano Bresci, che una lapide ci ricorda essere stato “regicida”. La notte del 29 luglio 1900 Gaetano Bresci uccise a colpi di rivoltella il re d’Italia Umberto I; con questa azione l’anarchico si fece giudice nei confronti del sovrano, reo di aver permesso al generale Bava Beccaris di reprimere spietatamente a colpi di cannone l’insurrezione milanese del maggio del 1898, in cui i lavoratori protestavano contro le condizioni di lavoro e l’aumento del prezzo del pane. Al centro del parco spicca il monumento marmoreo con la scritta incisa “ A Gaetano Bresci Gli Anarchici”. Ancora qualche passo e siamo dentro al cimitero.
Appena superato il cancello ci rendiamo subito conto che non sarà uno scherzo trovare la parte dedicata agli anarchici, il cimitero si presenta assai più esteso di quanto noi l’avessimo immaginato. Chiediamo aiuto    ad una anziana coppia che, assai gentilmente, si presta ad accompagnarci. Durante il percorso ho modo di apprezzare una caratteristica dei carraresi, la parlantina. I due anziani, ma arzilli, coniugi iniziano a dirci che loro non ci hanno mai fatto caso alle tombe degli anarchici e non sono sicuri di conoscere l’ubicazione precisa; ma son sicuri di essere vicini alla tomba del “Memo”. Preso dalla curiosità chiedo chi fosse “Memo” e mi spiegano essere stato un capo partigiano. Intanto, mentre annoto un po’ di informazioni sul mio notebook siamo giunti, assieme alle “nostre guide”, alla sezione cimiteriale che cerchiamo. I due anziani coniugi ci salutano augurandoci una buona permanenza a Carrara.

Mentre siamo ancora fermi sullo stretto viale del cimitero di fronte alla zona degli anarchici scorgiamo, in mezzo a due grossi blocchi squadrati di marmo, una grossa pietra posta in verticale assomigliante ad un menhir; in alto c’è la foto e, appena sotto,  la scritta “ALBERTO MESCHI 1879 -1958 GLI ANARCHICI”. Alberto Meschi era nato nel 1879 a Fidenza, in provincia di Parma, e da giovane si era trasferito a Carrara dove fu sindacalista tra i cavatori e minatori di lignite. Con l’avvento del fascismo lasciò l’Italia per partecipare con i republicanos alla guerra civile spagnola. In seguito, venne arrestato in Francia dal governo collaborazionista di Petain e rilasciato dopo la Liberazione. Ritornato a Carrara l’anarchico e sindacalista Meschi fu segretario della Camera del Lavoro di Carrara. Grazie ad uno sciopero guidato dal Meschi nel 1913 i cavatori avevano ottenuto  che l’orario di lavoro fosse di 8 ore giornaliere con l’intervallo di un’ora.
A destra e a sinistra del sindacalista e anarchico riposano altri due anarchici implicati in un attentato eccellente, quello dell’11 settembre 1926 a Roma contro Benito Mussolini: Gino Lucetti e Stefano Vatteroni. Ambedue carraresi, il primo autore materiale dell’attentato al duce, il secondo complice di un “atto di giustizia proletaria e di antifascismo militante”. Le due pietre sepolcrali sono due enormi distesi blocchi di marmo squadrati e il visitatore può leggere i nomi di Lucetti e di Vatteroni sulla faccia piccola esposta al piccolo viale del cimitero. L’altro complice dell’attentato al duce, colui che procurò la bomba a Lucetti, Gino Bibbi, non riposa qui; morto nel 1999 a 100 anni, fu cremato. Ma in questo luogo la memoria di questo anarchico trova spazio su una piccola e semplice lastra di marmo, poggiata al muro, con su scritto “GINO BIBBI 1889-1999”. Durante la guerra civile spagnola Gino Bibbi fu tra coloro che tentarono di far saltare la flotta franchista a Malaga, ma intercettati da agenti stalinisti vennero bloccati. Ad onor del vero va ricordato che nella guerra civile spagnola le truppe franchiste ebbero la meglio sulle forze repubblicane grazie al blocco delle armi operato dal non interventismo di alcuni Paesi occidentali ed anche dall’Unione Sovietica, come spiegherà bene George Orwell in Omaggio alla Catalogna.
A differenza di quei cimiteri che sono immobili sacrari di memorie, in questo angolo del cimitero la disposizione confusa di tombe e lapidi degli anarchici gli dona una sorta di movimento e di dinamicità che fa pensare al disordine proprio di una vita attiva. Vi sono lapidi che possono essere tranquillamente prese e portate via come quella di Pedrini Belgrado, Gilbert Jacques, Paola Nicolazzi, Alfonso Failla, Gino Bibbi o la lastra posta ai piedi della stele che ricorda il carrarese Gogliardo Fiaschi. L’anarchico Gogliardo Fiaschi è stato “un anarchico da levarsi tanto di cappello” ed è sicuramente la figura di spicco del panorama anarchico dei tempi più recenti; classe 1930 fu, appena adolescente, antifascista e partigiano durante la resistenza, e deciso sostenitore della lotta antifranchista in Spagna, dove venne incarcerato nel 1957 mentre preparava un attentato al generalissimo Franco. A Gogliardo Fiaschi è intitolato il circolo culturale anarchico di Carrara.
Un altro nome della storia più recente del nostro Paese ha trovato posto in questo angolo di cimitero di Turigliano, ed è quello di Giuseppe Pinelli. “A PINO GLI ANARCHICI” si legge sul blocco di marmo posto dritto sulla sua tomba, dove è scolpito un epitaffio dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. “Pino”, come lo chiamano gli amici anarchici, ebbe a Milano, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, la stessa sorte che nel 1929 era toccata a New York ad un altro anarchico italiano Andrea Salsedo: precipitato dalla finestra durante un interrogatorio della polizia.

Alle spalle di questo angolo del cimitero di Turigliano dedicato agli anarchici si erge il monumento al Comandante “Memo”, grazie al quale abbiamo potuto trovare gli anarchici qui sepolti. Memo era il nome di battaglia di Alessandro Brucellaria, classe 1914, carrarese, comandante della formazione partigiana “Garibaldi” durante il periodo della resistenza. Di lui, in seguito, un anziano signore conosciuto in un osteria ci dirà: “ era un bravo ragazzo, dopo la Seconda Guerra Mondiale aveva anche la cava (di marmo) ma gli affari non gli andavano bene”. La lotta contro ogni forma di dittatura e oppressione per Memo non terminò con la fine della II Guerra Mondiale, difatti nei primi anni 90 la sua voce, quasi solitaria, si alzò contro i tentacoli della mafia corleonese che si allungavano verso i bacini marmiferi. Il monumento marmoreo a lui dedicato si intitola Il vento del tempo raffigurante due busti stilizzati di un uomo e di una donna che, nonostante la rigidità del marmo, paiono essere mossi da un soffio di vento. Ai piedi della scultura è incisa la poesia Siamo stati insieme di Carlo Levi.

A questo punto ci muoviamo quasi frastornati tra i vialetti di questo angolo di cimitero dove le lapidi “parlano” di vita e non di morte. Ma la nostra meraviglia non termina qui. Scorgiamo sul muro del viale che stiamo percorrendo, non lontano dagli anarchici e dal Comandante Memo, una lunga serie di piccole lapidi che portano il nome di soldati, marinai, aviatori morti nelle due Guerre Mondiali, è come se in questa parte del cimitero coloro che hanno avuto un ruolo nei momenti decisivi della Storia (quella con la S maiuscola) meritino un posto particolare nella memoria, senza contare se animati o meno da un ideale o perché semplicemente obbligati.
Intanto il primo fischio della sirena ci avvisa che il cimitero sta per chiudere, raggiungiamo l’uscita su viale XX Settembre proprio un attimo prima del secondo e definitivo fischio di chiusura. 

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