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Ti la capu nfitesci lu pesci

Qualche giorno addietro un mio amico insegnante mi raccontava un fatto curioso quanto negativo accorsogli. Durante un esame scritto, dove lui era membro di commissione, gli studenti, appartenenti a diversi insegnanti, furono sistemati nell’aula in gruppi secondo l’insegnante di appartenenza. Successe che, a fine esame, con la correzione dei compiti, gli studenti di un certo insegnante subirono il più alto tasso di bocciatura. Questi, avuto il risultato negativo, sono andati dritti dal mio amico lamentando di essere stati discriminati perché fatti sedere ai tavoli posti davanti alla cattedra e perciò non avevano potuto –così come si dice in gergo scolastico- “copiare”, cioè usare gli stratagemmi che permettono di superare l’esame senza studiare. La vicenda, se si esclude la sfacciataggine e l’impudenza di andare anche a lamentarsi al professore, ha una sua logica che è invece assai diffusa nel mondo studentesco, tanto che per taluni negargli l’uso di “foglietti a fisarmonica” o di fare altre furbate è sentito come un atto discriminatorio che tanto assomiglia alla negazione di un diritto. A questo punto col mio amico ci siamo interrogati se questa assurda logica è circoscritta nella scuola o è un qualcosa di molto più diffuso nella società italiana?
La risposta è stata che
il ragionamento dei giovani studenti è diffusissimo tra gli italiani, i quali sempre più spesso si sentono discriminati e talvolta perseguitati se non gli è permesso fare ciò che la legge o le regole proibiscono. La cosa curiosa, unicamente italiana, è che una tale forma di pensiero è rinvenibile anche tra i membri dell’attuale governo e principalmente nel suo capo. Infatti quotidianamente il Cavaliere parla di discriminazione e persecuzione che i magistrati compiono nei suoi confronti poiché indagano su vicende losche che coinvolgono lui e i suoi uomini. Pertanto secondo la «logica italiota» corrompere un avvocato inglese per aggiustare processi in cui si è imputato, farsi regalare “all’insaputa” degli appartamenti in cambio di chissà cosa, o dire che evadere le tasse sia moralmente giusto non sono questioni di cui bisognerebbe almeno vergognarsi (oltre che tenersi lontano dal coprire cariche pubbliche), ma si ritiene che se la magistratura fa il suo dovere e se ne occupa compie un atto discriminatorio e persecutorio.

A Latiano si dice “ti la capu nfitesci lu pesci” (il pesce puzza dalla testa), perciò le lamentele dei nostri studenti sono solo il sintomo di un malessere assai diffuso nella nostra società, che trova – ahimè - origine ed ispirazione nelle cariche più alte dello Stato.

Commenti

massimovalerio ha detto…
L’Inter era in vantaggio di un gol sulla sua avversaria Roma durante la finale per l’assegnazione della Coppa Italia 2010. Mancavano al termine della gara solo i minuti di recupero ma, anche questi ultimi, scorrevano inesorabili. L’impotenza della squadra in svantaggio veniva incarnata dal suo uomo simbolo Francesco Totti, campione indiscusso, il quale si rendeva protagonista di una vera caccia all’uomo verso Mario Balotelli conclusasi con un “calcione” sferrato in maniera talmente plateale da non potere essere confuso con un eccesso di agonismo. Sicuramente il furbo provocatore, Mario, non era innocente ma ciò non giustifica la reazione scomposta dell’offeso. Il gesto, i giorni seguenti, viene ripreso dai vari mass-media ed i commenti sono unanimi nella condanna tanto che addirittura si scomoda il Capo dello Stato per fare la morale alla stella caduta nel trabocchetto. Mi aspettavo, per lo meno, un silenzio dei tifosi romanisti per mandare subito nel dimenticatoio un gesto così inutile da parte del giocatore di fama mondiale. Invece, la domenica successiva, su uno tra i tanti striscioni che sostenevano la solidarietà al proprio condottiero c’era scritto: ”IL CAPITANO NON SI TOCCA”, sottolineando che sebbene il proprio idolo avesse potuto sbagliare non avrebbe dovuto subire un “processo”. Il calcio in realtà rappresenta soprattutto i difetti della nostra società, dove i seguaci dei signori politici, come i seguaci dei campioni del calcio, perdonano di tutto ai propri “eletti” accettando, anche, di ignorare le distrazioni più incredibili. Ad esempio partecipare ad una manifestazione di solidarietà alla famiglia ed il mese dopo andare a convivere con una probabile seconda moglie, oppure invocare la privacy per poi sputtanare gli avversari politici sui giornali pubblicando intercettazioni foto ed altro. L’elettore invece di essere determinato nella scelta del meglio per se stesso e per la comunità si ostina a fare l’ULTRAS rinunciando di fatto ad una cosa sacrosanta in democrazia, cioè il diritto-dovere di potere scegliere, la consapevolezza che non si deve votare per tizio, per caio o per sempronio, ma si vota per il bene della propria circoscrizione, comune, provincia, regione. Insomma si vota per se stessi. La scuola non insegna che lo Stato siamo noi, a vivere per strada si impara “SCIAM IN GUL A U STAT”, cioè “FOTTIAMO LO STATO.” I ragazzi, da te raccontati, se avessero imparato ad essere consapevoli di dover diventare innanzitutto cittadini di uno Stato avrebbero, forse, affrontato la prova con la giusta preparazione e non tentato di incarnare il detto della strada.

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