Nel mio variegato percorso formativo particolarmente caratteristico era l’insegnamento che ci impartiva il professore di acustica subacquea ogni qualvolta ci fosse da risolvere un problema: «la difficoltà del problema non sta nel risolverlo ma nell’impostarlo». Il precetto del professore, che per ironia della sorta è anche tarantino, si addice particolarmente alla difficile situazione venutasi a determinare intorno all’ILVA di Taranto, dove si il problema di un’industria che inquinando reca danni e morte trova soluzione o con la chiusura dell’acciaieria a favore della salute e dell’ambiente, ma a danno delle migliaia di posti di lavoro; oppure nel continuare a produrre, preservando quindi i posti di
lavoro, ma continuando a uccidere con i gas tossici immessi nell’aria. Il professore avrebbe detto che il problema non avrebbe avuto soluzione perché è errata l’impostazione. Infatti come si può, anche moralmente, chiedere ai tarantini o agli operai di accettare una delle due soluzioni? In questo modo vengono posti solo i ricatti!
lavoro, ma continuando a uccidere con i gas tossici immessi nell’aria. Il professore avrebbe detto che il problema non avrebbe avuto soluzione perché è errata l’impostazione. Infatti come si può, anche moralmente, chiedere ai tarantini o agli operai di accettare una delle due soluzioni? In questo modo vengono posti solo i ricatti!
Iniziamo col puntualizzare che il problema ILVA non è solo Taranto e non è solo ILVA poiché è tutto il sistema produttivo industriale italiano che, grazie all’avvallo degli attori istituzionali coinvolti, continua a produrre in maniera totalmente deresponsabilizzata rispetto al territorio e alla società. Sulle pagine de “il Manifesto” Enrico Grazzini ha chiesto ai suoi lettori «secondo voi potrebbe accadere in Germania una tragedia come quella dell’ILVA, in cui l’industria pubblica prima e quella privata poi inquinano per decenni un’intera città imponendo ai lavoratori di scegliere tra lavoro e salute fino a rischio chiusura totale?». La comparazione dei due sistemi produttivi traccia lo spread che esiste tra noi e il mondo industriale germanico, ma anche lo scarto in termini di dignità del lavoro e delle persone tra un cittadino italiano e uno tedesco. È proprio valutando l’ultimo differenziale che non trovo spropositato chi, scrivendo sul caso ILVA ,ha parlato di operai usati come «scudi o carne da cannone». Se ci ragioniamo su, che senso ha far protestare i lavoratori contro la magistratura se proprio i lavoratori sarebbero i primi beneficiari dell’applicazione del diritto? Non sono gli operai parte del problema, loro sono solo vittime, assieme ai cittadini Tarantini, a coloro che a Taranto ci lavorano, ai mitiliculturi, etc. Ecco perché – ribadisco – il problema ILVA è stato, non sappiamo quanto intenzionalmente, mal posto. Mi fa orrore che nel periodo in cui la crisi la si facendo pagare esclusivamente ai lavoratori (minori garanzie contrattuali e diminuzioni delle pensioni) le sigle sindacali, esclusa la FIOM, portano i lavoratori del siderurgico in piazza a protestare contro una magistratura che difende anche il loro diritto alla salute, mentre dovrebbero protestare contro un governo che non ha preteso dall’impresa il rispetto della dignità del lavoratore. Anzi, il governo Monti, che nella diatriba tra impresa e diritto alla salute e diritto al lavoro dovrebbe per lo meno stare dalla parte dei cittadini garantendo entrambi i diritti, minaccia, in difesa dell’impresa, il ricorso contro la magistratura alla Corte Costituzionale perché come recita l’art.41 della Costituzione «l'iniziativa economica privata è libera», “dimenticando” (si fa per dire) che la stessa «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».
Nello scorso Marzo parlai nel post Taranto, Brindisi, Torino: stragi in nome dello “sviluppo” e la difesa del territorio di quanto importante fosse stato il risultato ottenuto dai NO – TAV in difesa del territorio e della salute. Credo che attualmente Taranto necessiti di un sistema NO – TAV, di un sistema territoriale in cui all'interno della società civile coloro che hanno competenze ambientali, industriali, produttive, sanitarie assumano una chiara presa di posizione in difesa non solo dell’ambiente, del territorio, della salute, e della dignità del lavoro ma, principalmente, dell’idea di voler lasciare alle prossime generazioni un futuro e un territorio migliore.
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