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A nove mesi dall’alluvione nello spezzino, latianoitaca incontra il presidente della pro loco di Borghetto di Vara.


Borghetto di Vara è un borgo della media val di Vara, nello spezzino. Per chi non è della zona ha difficoltà a legare il nome del piccolissimo comune che si affaccia sul fiume Vara con una delle vicende più tragiche degli ultimi mesi. Il piccolo borgo, il cui territorio è circoscritto dal fiume Vara e dal torrente Pogliaschina, il 25 ottobre scorso, è uno dei centri colpiti dall’inondazione, molto più nota come l’alluvione delle Cinque Terre, in cui Borghetto ha pianto il più alto numero di vite spezzate. Sulla drammatica vicenda e sulle polemiche che seguirono su questo blog fu pubblicato Alluvioni: contro le bombe d’acqua non bastano i finanziamenti . A distanza di nove mesi latianoitaca ha raggiunto Borghetto di Vara per incontrarne il presidente della pro-loco e della pubblica assistenza, il ventinovenne Jacopo Cattaneo, ingegnere ambientale, che assai cordialmente ha voluto rispondere alle nostre domande.

Cosa ricorda di quel tragico 25 ottobre?
Verso le undici del mattino ha cominciato a piovere. Trovandomi a La Spezia per lavoro mi ha raggiunto al telefono mia cugina che mi informava che il fiume stava crescendo rapidamente. Dopo di chè ha iniziato a piovere sempre più forte, senza tregua, tanto che quando sono giunto a Borghetto il fiume già aveva in alcuni punti straripato. In piazza, dove sono presenti due ponti, il fiume aveva già completamente soverchiato il primo. Le strade intorno Borghetto erano oramai diventate impraticabili a causa delle prime frane e allagamenti, così ci siamo trovati completamente isolati con l’area intorno alla piazza invasa da auto che non riuscivano a né scendere a La spezia, né ad andare in direzione di Brugnato. Sulla piazza, inoltre, sono giunti diversi autobus carichi di studenti, che hanno trovato riparo nelle case circostanti. Verso le 14.45 è arrivata un’onda che, oltre al fiume, occupava l’intera strada adiacente ad esso e che ha spazzato via macchine, autobus, negozi e tutto ciò che incontrava. Al passaggio dell’onda sono seguite una serie di frane dalle vette circostanti. Tanto per avere un’idea della quantità di frane che ci sono state basti pensare che solo il comune di Borghetto, nei suoi 16 Kmq di estensione, ha subito circa duecento frane tra grandi e piccole, alcune delle quali ancora in movimento.

Ho ascoltato testimonianze di chi è venuto da fuori a “spalare fango” all’indomani della tragedia, si è parlato di un clima assai partecipativo. Cosa ricorda di quei giorni?
In quei giorni nella zona è passata tutta l’Italia. Alla caserma della Guardia Forestale, solo per Borghetto, hanno registrato circa 19 mila nomi di volontari venuti a dare una mano. Se a questi sommiamo coloro che non si sono registrati, allora possiamo parlare di circa venticinquemila persone per un centro di cinquecento anime. Grazie a loro nel tempo di un mese i servizi sono stati quasi tutti ripristinati. Riguardo il clima che si respirava a Borghetto in quei giorni basta immaginare che si trovavano ragazzi di “Fasce Rosse” assieme a quelli di CasaPound a pulire la chiesa. Per non parlare poi dei vari gruppi ultras, quelli del Genova, della Sampdoria e dello Spezia che in una curva allo stadio si sarebbero ammazzati mentre di fronte alla tragedia erano un’unica squadra.
La solidarietà della gente è stata davvero tanta. Oltre a coloro che son venuti qui, una mano ci è giunta da tutta Italia. Chi non è potuto venire ci ha aiutato mettendo mano al portafogli. Davvero tante sono state le donazioni giunteci e in tempi di crisi non è cosa semplice da verificarsi.

Cosa ha fatto la politica per la ricostruzione?
Tutto quello che sinora si è fatto è grazie ai privati. Dallo Stato ancora non abbiamo avuto nemmeno un euro. Il Comune ha infatti stimato lavori per 10 milioni di euro ma dal Governo e dalla Regione non ha preso un solo euro. I lavori comunque si sono fatti lo stesso. Le ditte stanno lavorando da nove mesi senza alcun finanziamento pubblico. Gli unici fondi giunti sono quelli dei privati. Attualmente le attività commerciali sono riaperte, ma con quali soldi i commercianti hanno riavviato? Hanno dovuto aprire un mutuo che spesso si è assommato a quello aperto precedentemente per la stessa attività.

Ci sono state rimostranze da parte vostra per la latitanza della politica che conta?
Con diverse delegazioni di comitati e associazioni siamo stati a Roma alle sedi del PD, PDL e IDV rivendicando, prima del terremoto in Emilia, la parte dei fondi pubblici per i partiti che dovevano essere destinati ai territori colpiti da calamità. Ci hanno risposto che non dovevamo fare demagogia, non erano loro le persone che dovevano darci i finanziamenti ma era lo Stato. Al ché mi sono chiesto chi lo fa lo Stato, chi è che deve dare una mano quando c’è il bisogno? Ora la Regione ha garantito che i fondi pubblici arriveranno, ma concretamente non abbiamo visto un solo euro. Alla questione dei fondi, a tutt’oggi mancanti, è legata l’economia del territorio, perché le ditte impiegate sono piccole imprese della zona che sino ad adesso hanno solo accumulato debiti. Alcune di loro oramai si rifiutano di continuare perché gli operai e il gasolio vanno pagati. Di fronte a tutto ciò mi risulta incomprensibile il ritardo con cui lo Stato rimanda l’intervento. La politica locale ha fatto la propria parte portando la questione verso le dirigenze nazionali, ma la logica d’intervento dei partiti talvolta risponde ad altre ragioni. Mi spiego. L’area del Vara colpita dall’alluvione ha una popolazione di circa 5 mila persone, di questi togliendo coloro che non votano rimane un numero assai esiguo di elettori per “meritarsi” l’interesse dei partiti. Noi ci aspettavamo un interesse sicuramente maggiore da parte dei partiti.

Dopo l’esperienza tragica e terribile allo stesso tempo, si è provveduto a creare un presidio di monitoraggio del territorio?
Occorre precisare che sul territorio esistono i COM (Centro Operativo Misto) che c’erano già prima dell’alluvione, che in teoria avrebbe dovuto agire preventivamente sul territorio, ma nella pratica hanno agito solo ad emergenza avviata. Ora c’è un’attenzione sicuramente maggiore, basta un’allerta 1 per far scattare il monitoraggio di ventidue siti. Inoltre si sta provvedendo all’installazione di un’antenna che ci garantirà le comunicazioni anche nei casi di emergenza, cosa che lo scorso ottobre non avevamo e che rese inutilizzabili le linee telefoniche e i cellulari. Inoltre sono stati rinforzati gli argini del fiume Vara e del torrente Pogliaschina.

All’indomani dell’alluvione il WWF in una nota esplicativa parlava di «tragedia annunciata». Secondo lei è stata una catastrofe imprevedibile o si deve dare ragione al WWF?
Col senno di poi molte sono state le voci che hanno parlato di quello che si sarebbe potuto e dovuto fare per evitare la tragedia. Ma questo è un ragionamento troppo facile. Se mi chiede se la popolazione di Borghetto avesse la percezione del rischio che correva le dico che questa sensazione non c’era.


…. Comunque mancava un presidio territoriale
Ma su questo posso dire di più. In piazza, prima dell’alluvione, il torrente Pogliaschina era completamente coperto dal cemento e la copertura era sorretta da diverse file di pilastri in poggiati sul letto del torrente che, nel momento di piena, hanno fatto da tappo rendendo ancor più grave la situazione. Infatti quando la pressione ha spezzato i pilastri si è generata verso valle una seconda onda, ancora più impetuosa della prima. Certo, dopo che una cosa è successa si fanno tanti ragionamenti.

Alcuni esperti hanno parlato di “bombe d’acqua”. Quanto è vera questa dichiarazione?
La quantità d’acqua caduta nell’area fu sicuramente notevole, a memoria d’uomo non si ricordavano casi simili. Ma occorre dire che è venuta a mancare la cura per il proprio territorio. Un tempo chi viveva in questa zona ne aveva una grande cura, nel senso che venivano puliti i canali di scolo e il sottobosco; venivano edificati i terrazzamenti che favorivano il drenaggio dell’acqua riducendo il rischio frane; oggi i poggi sono quasi completamente scomparsi. La faccenda è resa ancora più complicata da alcune malattie che colpiscono il pino ed il castagno. Venendo a mancare le pinete e i castagneti, oltre ad aumentare il rischio frane, aumenta a dismisura la massa di materiale che con la frana giunge a valle. Basti pensare che qui a Borghetto, dopo il passaggio dell’onda, avevamo la piazza completamente sepolta da tronchi per un’altezza di cinque metri.

Abbiamo parlato di prevenzione ma anche di gestione del territorio. Quale insegnamento si può trarre da un’esperienza come la vostra?
Credo che principalmente occorre colmare una lacuna nel sistema educativo. A scuola non ci è mai stato insegnato come va gestito e come deve essere tenuto il territorio in cui si vive, il perché qui, per esempio, si costruiva un poggio in un determinato modo. Oltretutto, a distanza di nove mesi manca una riflessione ragionata da parte di esperti, di geologi che permetta di risalire alle cause che hanno generato la tragedia. C’è solo un bailamme di voci, talvolta senza fondamento scientifico, che non permette di fare chiarezza sui motivi che hanno prodotto l’alluvione.

Crede che si è rotto un rapporto simbiotico tra l’uomo e il territorio che abita, in questo caso tra l’uomo e la montagna?
Gli interventi che si stanno realizzando non so quanto rispettino e quindi possano essere efficaci su questa tipologia di territorio. Ad esempio si stanno costruendo barriere di cemento per arginare le frane. Ma queste opere c’erano già prima e si è visto che hanno solo deviato l’alluvione. Anche l’architettura ha bisogno di essere ripensata partendo sicuramente dal recupero del rapporto simbiotico tra l’uomo e la montagna. Più in generale l’uomo è convinto che con la tecnica possa dominare sul mare, la montagna ma non è così e la Terra continua a ricordarcelo. Inoltre la memoria storica è diventata sempre più corta tanto che dove ora stiamo camminando un tempo c’era il letto del fiume Vara. Col ritirarsi del fiume e non registrando dagli anni quaranta altre alluvioni si è deciso di coprire tutto e di costruire un centro sportivo con campi da calcetto e campi da tennis. Anche la piazza nasce in quegli anni sempre all’interno dell’argine del Vara

….. quindi bisogna dare ragione al WWF quando parla di tragedia annunciata!
Sicuramente con un letto così largo la tragedia forse si sarebbe potuta evitare. Negli anni quaranta vi fu un’altra inondazione e allora non vi furono i danni che ci sono stati stavolta. E anche allora l’onda portò via baracche costruite sul letto oramai secco del fiume il cui livello raggiunse i vecchi argini.

Come vede il futuro della zona?
Qui il territorio non è ancora in sicurezza. Fra tre mesi è di nuovo ottobre e da queste parti ritornano le forti piogge e il rischio frane continua ad essere alto. Di progetti per la messa in sicurezza del territorio se ne sono fatti tanti, ma se non abbiamo ancora nemmeno i finanziamenti per il ripristino del territorio, quanto può essere probabile e credibile la realizzazione di taluni progetti? Più in generale, in Italia abbiamo, credo, la migliore cultura dell’emergenza e la peggiore cultura della prevenzione.

Si sta pensando a realizzare un luogo della memoria, affinché la tragedia non venga dimenticata?
Vi è l’idea di mettere su un qualcosa che possa non farci dimenticare quello che è accaduto. La storia si ripete quando si dimentica.


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