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Taranto, Brindisi, Torino: stragi in nome dello “sviluppo” e la difesa del territorio

 

TARANTO. Nell’ambito dell’incidente probatorio sull’ILVA è stata presentata giovedì scorso un fascicolo di 282 pagine preparato da tre esperti (prof. Annibale Biggeri, prof. Marco Forastieri e prof.ssa Maria Triassi), a cui la magistratura aveva dato mandato di effettuare uno studio sulle malattie e le morti nei quartieri di Taranto più vicini all’industria siderurgica: Tamburi, Borgo e Paolo VI. I risultati, frutto di un confronto di dati medici degli ultimi sette anni, sono davvero sconcertanti perché nei quartieri più vicini allo stabilimento ci si ammala e si muore di più rispetto al resto della città. Ad esempio nel quartiere Paolo VI l’incidenza di tumori è di +42% nei maschi e, sempre nello stesso quartiere la morte per malattie dell’apparato respiratorio segna +64% nei maschi e +26% nelle donne. L’inquinamento dell’ILVA non risparmia nemmeno i bambini i cui casi di tumore sono al di sopra della
 media. Anzi sui bambini, nei mesi scorsi, le associazioni ambientalistiche e alcuni medici dell’ospedale pediatrico di Taranto avevano denunciato un boom di leucemie proprio nei quartieri a ridosso del siderurgico. Al di là delle decisione che la procura prenderà in merito a quella che viene definita «la strage di Taranto», il dossier ci dice che negli ultimi sette anni ci sono stati 178 morti e quasi un migliaio di ricoveri.

BRINDISI. Sabato 3 marzo ’12 il quotidiano “La Repubblica” ci fa sapere che «I pubblici ministeri Giuseppe De Nozza e Myrian Iacoviello hanno firmato l’avviso di conclusione delle indagini a carico di quindici indagati, tra cui dodici dirigenti ENEL in quota alla centrale Federico II che si sono avvicendati ai vertici dell’azienda negli ultimi anni». Le indagini erano partite nel 2007, quando un’ordinanza dell’allora sindaco di Brindisi, Domenico Mennitti, vietava la coltivazione nei campi neri di carbone intorno alla centrale di Cerano. Intanto in questi cinque anni i contadini hanno dovuto fare a meno delle loro piantagioni di carciofi, di frutteti e vigneti che magari erano i loro soli mezzi di sostentamento. Ora le conclusioni della procura ottenute grazie alle analisi del Prof. Minoia, direttore di misure ambientali tossicologiche della fondazione Maugeri di Pavia, che vedono nella centrale elettrica la causa dell’inquinamento dell’area, sono avversate dall’ENEL che considera i livelli di elementi tossici al di sotto della soglia di tollerabilità anche per la salute umana.

TORINO. Il popolo dei NO-TAV si oppone alla decisione di far passare per la Valle di Susa il treno super veloce Torino-Lione perché ritenuta dannosa sotto l’aspetto economico, ambientale e paesaggistico. Infatti da studi effettuati da parte della popolazione locale la costruzione dell’opera aumenterebbe del 10% l’incidenza di malattie cardiovascolari e respiratorie. Preoccupazioni confermate nel 2006 da 103 medici della Val di Susa. Altri rischi alla salute deriverebbero dalle rocce amiantifere presenti nella zona e dalla presenza di minerali radioattivi. Riguardo l’ambiente sono state considerati i danni che avrebbero come conseguenza la perdita e la compromissione di risorse idriche, per non parlare poi del cambiamento paesaggistico che deturperebbe uno dei paesaggi più belli d’Italia. Alle ragioni del popolo NO-TAV si oppongono quelle del cosiddetto “partito preso”, governo ed istituzioni, che sono di natura economica e di sviluppo. Intanto tra le due parti vi è tutt’ora un braccio di ferro che rende la situazione statica e dal futuro incerto: i cantieri sono bloccati dai tanti manifestanti mentre le istituzioni si preparano ad uscire dal blocco con operazioni muscolari.

CONCLUSIONI. Le esperienze pugliesi devono portarci a riflettere su quale sia il reale volto dello sviluppo legato alla crescita (intesa in senso economico: più lavoro, più denaro). Non stiamo parlando di qualche albero abbattuto o di un corso d’acqua deviato, ma di persone, di bambini che muoiono. Il vero volto dello sviluppo, così come è ancora oggi inteso, si vede nei dati sulla «strage di Taranto», su un’economia agricola che muore e che dava da vivere a tantissime famiglie. Credo che quello che sta avvenendo in Val di Susa sia la rivolta di un popolo che si libera dalle trappole di una idea di mercato capitalistico che mira solo al raggiungimento del simbolo “+” (più), che per i poveri cristi diviene vera e propria croce: quella che segna la morte di un territorio e quella fisica dei suoi abitanti. A mio avviso il movimento NO-TAV, non cadendo nel desueto canto delle sirene che vagheggia aumenti di posti di lavoro e della ricchezza in zona, rappresenta la chiara negazione di un oramai superato modello di sviluppo che, astenendosi dal considerare specifici elementi di territorialità, produce benefici per pochissimi e danni per tantissimi; pertanto le proteste dei NO-TAV non vanno considerate in modo disgiunto dalle stragi e dai danni ambientali provocati dalle cosiddette “opere di sviluppo” in altre aree del Paese, ma sono, più propriamente, la naturale conseguenza di quei disastri.

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