Un tempo nei giorni, o meglio, nelle notti di inverno per le campagne pugliesi si aggiravano loschi individui che, spinti spesso dalla necessità, rubavano le olive dagli alberi. Il fenomeno era abbastanza diffuso tanto che tra proprietari e ladri si apriva una vera e propria guerra con appostamenti e talvolta con qualche schioppettata. Oggi tutto questo sembra solo un lontano ricordo anche se le nostre olive continuano ad essere “rubate” da ignoti signori che, sicuramente, non vestono quattro stracci come i vecchi ladri di olive e magari girano con auto lussuose. Sono i signori della “agrimafia”, almeno così li ha chiamati Paolo Berizzi in una interessante indagine apparsa su Repubblica che prende piede da
un’inchiesta tuttora in corso della magistratura. Il sistema illegale messo in atto da alcuni imprenditori del settore olivicolo-oleario (si parla anche di importanti marche nazionali) consiste nell’immissione del mercato made in Italy di olio proveniente da paesi extra-comunitari, come l’Algeria e Tunisia, o comunitari quali Grecia e Spagna. Si parla di circa 470 mila tonnellate di olio di matrice extranazionale che annualmente viene importato per farlo diventare puro olio italiano. L’olio viene importato per «trasformazione» - termine dai tanti significati che ben si offre per l’operazione - ad un prezzo che varia tra i 25 centesimi e i 50 centesimi di euro che, quando magicamente diventa olio extravergine italiano, lo troviamo sugli scaffali del supermercato a circa 3 euro. In questo modo annualmente finiscono nelle tasche dei signori dell’olio circa 5 miliardi di euro. Tuttavia il regolamento comunitario impone dal 2009 di indicare la provenienza delle miscele di diversa origine, cosa che impossibile da rilevare sulle etichette nostrane perchè le informazioni sono scritte con caratteri tanto piccoli da essere illeggibili. Il ministro delle politiche agricole del governo Berlusconi, Saverio Romano, aveva annunciato un decreto che avrebbe imposto dimensioni tali da rendere le etichette leggibili, ma il decreto si è perso prima ancora dello stesso governo Berlusconi.
un’inchiesta tuttora in corso della magistratura. Il sistema illegale messo in atto da alcuni imprenditori del settore olivicolo-oleario (si parla anche di importanti marche nazionali) consiste nell’immissione del mercato made in Italy di olio proveniente da paesi extra-comunitari, come l’Algeria e Tunisia, o comunitari quali Grecia e Spagna. Si parla di circa 470 mila tonnellate di olio di matrice extranazionale che annualmente viene importato per farlo diventare puro olio italiano. L’olio viene importato per «trasformazione» - termine dai tanti significati che ben si offre per l’operazione - ad un prezzo che varia tra i 25 centesimi e i 50 centesimi di euro che, quando magicamente diventa olio extravergine italiano, lo troviamo sugli scaffali del supermercato a circa 3 euro. In questo modo annualmente finiscono nelle tasche dei signori dell’olio circa 5 miliardi di euro. Tuttavia il regolamento comunitario impone dal 2009 di indicare la provenienza delle miscele di diversa origine, cosa che impossibile da rilevare sulle etichette nostrane perchè le informazioni sono scritte con caratteri tanto piccoli da essere illeggibili. Il ministro delle politiche agricole del governo Berlusconi, Saverio Romano, aveva annunciato un decreto che avrebbe imposto dimensioni tali da rendere le etichette leggibili, ma il decreto si è perso prima ancora dello stesso governo Berlusconi.
Le regioni inondate dall’olio extra comunitario sono quelle in cui vi è un’alta concentrazione di aziende olivicole come la Toscana, la Liguria, e la Puglia. E Proprio quest’ultima, terra di ulivi e di olio straordinario, viene stigmatizzata come «terra di imbrogli» per l’alto numero di casi scoperti di aziende che spacciano l’olio miscelato come extra vergine italiano o, peggio ancora, come olio biologico.
La truffa messa in atto dall’agromafia va ad alterare il mercato dell’olio e quindi quello olivicolo. Il mega imbroglio oltre a danneggiare i consumatori va ad incidere sull’economia agricola e in particolare sul prezzo delle olive alla produzione. Tanto per citarvi un esempio, nel brindisino il prezzo delle olive da molare oscilla tra 13 e 17 euro al quintale: una vera miseria specialmente nella stagione in corso in cui la qualità dell’olio è superba; ecco perché in apertura si è parlato di olive "rubate". A ragione Stefano Masini, responsabile Ambiente e Territorio di Coldiretti, nella succitata inchiesta condotta da Repubblica ha affermato: «bisogna indagare come si fa col il 416 bis (associazione di tipo mafioso). Queste non sono semplici frodi in commercio, sono organizzazioni criminali strutturate che controllano i prezzi e tengono in mano un’intera filiera. È la mafia dell’olio».
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