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Chi aiuterà il popolo palestinese nel riconoscimento di uno stato di Palestina?

La richiesta di Abu Mazen per il riconoscimento dello Stato di Palestina alle Nazioni Unite ha avuto delle conseguenze inimmaginabili anche per gli internazionalisti più esperti. Infatti alla richiesta, che in seno al Consiglio di sicurezza ha ricevuto una sospensione a deliberare da parte degli USA, è seguito il riconoscimento dell’UNESCO, l’agenzia delle Nazioni Unite che attraverso educazione, scienza e cultura incoraggia la pace. La decisione dell’UNESCO ha irritato fortemente gli Stati Uniti che hanno risposto minacciando prima, e interrompendo poi il grosso flusso finanziario degli USA verso l’UNESCO (circa il 20% dell’intero badget dell’agenzia). Va comunque precisato che
 attraverso l’UNESCO gli USA realizzano i loro progetti di politica estera come i programmi di diffusione dell’istruzione in Afghanistan. La decisione del Governo Obama, in pieno contrasto con il Nobel per la pace ricevuto dal suo leader, oltre a gelare le legittime aspettative del popolo palestinese, ha rimarcato ancora una volta il reale volto di Washington che riconosce alle agenzie internazionali quali dispensatrici di pace quando sono funzionali ai propri interessi; mentre diventano ostili quando compiono “l’impudenza” di funzionare come veri organismi internazionali.
Sta di fatto che il popolo palestinese, a cui la comunità internazionale continua a rinviare il riconoscimento di uno stato, vive oramai in due aree lontane tra loro: la Cisgiordania al nord e la Striscia di Gaza al sud. Inoltre il pericolo terroristico è stato il pretesto di Israele per attivarsi, in disprezzo del diritto internazionale, contro il popolo palestinese. Una di queste circostanze è la costruzione del muro di difesa (Defensive Wall) che doveva sorgere sulla Green Line, la linea di confine tra Israele e la Cisgiordania. Invece Israele si è spinta al di là del proprio territorio occupando parte della Cisgiordania e includendovi villaggi e abitanti contro cui sono commessi gravi violazioni. Nonostante la Corte di Giustizia Internazionale abbia riconosciuto la colpevolezza di Israele, il governo Nethanyahu prosegue incurante la sua opera che continua a motivare come necessaria alla difesa di Israele, sprezzante sia del giudizio della della Corte di Giustizia dell’Aja che dei diritti del popolo palestinese.
La mossa di Abu Mazen, di chiedere il riconoscimento dello Stato Palestinese, potrebbe sembrare coraggiosa perché ripropone la questione israelo-palestinese al centro della politica internazionale, nonostante il veto sicuro degli Stati Uniti. Invece è ben studiata visto che arriva in un momento in cui il ruolo degli Stati Uniti nel Medio oriente si è notevolmente indebolito, grazie al fatto che Washington è impegnata a contenere la politica estera cinese nell’estremo oriente. Inoltre la Turchia, potenza emergente regionale, sta cercando di conquistarsi un ruolo di rilievo nel medio-oriente anche attraverso la partita palestinese. Infatti dopo l’attacco della Freedom Flotilla da parte di Israele nel maggio dell’anno scorso, in cui furono uccisi otto cittadini turchi ed uno statunitense di origine turca, il governo di Ankara ha ordinato l’espulsione dell’ambasciatore israeliano, atto che ha permesso alla Turchia di accreditarsi, agli occhi del mondo islamico, quale potenza regionale capace di adoprarsi efficacemente in questioni internazionali. A ciò va aggiunto che, di fronte all’uso del diritto di veto da parte di Washington, non solo lo schieramento sciita notoriamente vicino alla causa palestinese, ma anche l’Arabia Saudita, capofila dei governi sunniti, ha minacciato di far precipitare i rapporti storici tra Riyad e Washington.
Oggi, la questione palestinese è sicuramente al centro della politica estera di nuove coalizioni regionali che minano i vecchi equilibri geopolitici dell’area. È probabile che in futuro si possa vietare ad Israele di rifiutare il diritto internazionale.

Commenti

Anonimo ha detto…
Molto spesso Gli USA si comportano in modo ambiguo. Antepongo forse gli interessi di chi? Questi atteggiamenti non portano da nessuna parte. Un punto in sfavore alla politica estera degli Usa.

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