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Nardò: lo sciopero dei neri è una lezione per i bianchi.

Da circa una settimana un gruppo di quasi 400 extracomunitari di colore ha deciso di incrociare le braccia e dire basta ad essere gli schiavi degli imprenditori agricoli salentini. La protesta si svolge presso la masseria Boncuri di Nardò dove la raccolta dei pomodori attira in questa stagione un esercito di immigrati. Fattori scatenanti della protesta sono stati la paga da fame (circa tre euro e cinquanta centesimi l’ora) e la mazzetta di cinque euro al giorno da dare al caporale.
Questi elementi di sfruttamento alcuni anni fa li ho vissuti personalmente sulla mia pelle quando si andava proprio a Nardò a raccogliere i pomodori e si percepiva una paga di diciotto mila lire al giorno perché altre cinque mila lire se li prendeva automaticamente il caporale che col pulmino provvedeva al trasporto. Oltre l’esperienza comune di sfruttamento, seppur in tempi differenti, va comunque riconosciuto a questi nuovi sfruttati un diverso modo di reagire che è sicuramente «una lezione – come dice Nazareno Dinoi su Corriere del Mezzogiorno – di diritto del lavoro a tutto il mondo bracciantile con la pelle bianca che ha perso l’abitudine e la capacità di scioperare». E allora quali sono le condizioni di lavoro nei campi dei lavoratori bianchi? Vengono pagati quanto i neri e versano anch’essi la mazzetta al caporale per poter lavorare? Le risposte a queste domande potrebbero definire una realtà inquietante ed è forse questa la ragione per cui sia i politici che le istituzioni evitano di porsi simili domande. Io invece queste domande voglio farle a me e a voi cercando delle risposte.
Il coraggio di dire no agli sfruttatori, da parte di gente che viene da terre lontane, potrebbe essere una preziosa occasione per fare luce su una realtà che è vissuta pure dagli sfruttati di casa nostra. È chiaro che in troppi preferiscono ignorare, evitando innanzitutto di parlarne e, chi ha il potere, di intervenire. Questo fattore però, così come stanno dimostrando gli scioperanti di Nardò, non è più un valido motivo per continuare a subire in silenzio.

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