Nell’assise di Confindustria, tenutasi a Bergamo sabato 7 maggio, l’associazione degli industriali ha lamentato, per bocca di della presidente Emma Marcegaglia «che l’imprenditore si sente solo. Sono anni che chiediamo le stesse riforme, privatizzazioni, liberalizzazioni, infrastrutture, ricerca e fisco. E non avvengono: questo spiega la rabbia di tanti imprenditori, il distacco dalla politica». Ma di quale distacco parla la Marcegaglia? Forse la presidente di Confindustria non sa che il Presidente del Consiglio è un imprenditore e che la categoria che lei rappresenta ha una componente importante in Parlamento (terza dopo avvocati e giornalisti). Chi governa, secondo la Marcegaglia, deve affrettarsi a fare le riforme che gli imprenditori chiedono da tempo: più liberalizzazioni, privatizzazioni, fisco più semplice. Riforme che continuano a non arrivare nonostante un imprenditore (scusate se mi ripeto) diriga da tre anni il Governo italiano.
Oltre questi richiami sul rapporto con la politica, l’analisi di Confindustria –dispiace dirlo- continua ad essere la solita brodaglia,
preparata da un’élite che guarda con interesse solo ai nuovi profitti che potrebbero nascere nei nuovi mercati internazionali disinteressandosi della questione (o meglio “questioni”) sulla crescita e lo sviluppo italiano. Pertanto i problemi dell’imprenditoria italiana permangono i contratti di lavoro che dovranno essere ancora più flessibili, derogabili, esigibili: in altre parole meno diritti, maggiore precariato e quindi maggiore disoccupazione e incertezza nel futuro del lavoratore. Oltretutto, così come ha rimarcato la stessa Marcegaglia, «la via giudiziaria» intrapresa in difesa dei contratti dei lavoratori da CGIL-Fiom contro le newco Fiat «è sbagliata». Cosa vogliono gli imprenditori italiani? Essere competitivi sui mercati internazionali con prodotti di qualità medio-alta battendo la concorrenza grazie ad un minore costo del lavoro, ottenuto dal maggiore sfruttamento della manodopera specializzata presente sul territorio nazionale.
preparata da un’élite che guarda con interesse solo ai nuovi profitti che potrebbero nascere nei nuovi mercati internazionali disinteressandosi della questione (o meglio “questioni”) sulla crescita e lo sviluppo italiano. Pertanto i problemi dell’imprenditoria italiana permangono i contratti di lavoro che dovranno essere ancora più flessibili, derogabili, esigibili: in altre parole meno diritti, maggiore precariato e quindi maggiore disoccupazione e incertezza nel futuro del lavoratore. Oltretutto, così come ha rimarcato la stessa Marcegaglia, «la via giudiziaria» intrapresa in difesa dei contratti dei lavoratori da CGIL-Fiom contro le newco Fiat «è sbagliata». Cosa vogliono gli imprenditori italiani? Essere competitivi sui mercati internazionali con prodotti di qualità medio-alta battendo la concorrenza grazie ad un minore costo del lavoro, ottenuto dal maggiore sfruttamento della manodopera specializzata presente sul territorio nazionale.
«Essere qui è il più grande atto d’amore per il nostro paese. La parola d’ordine di Confindustria- ha concluso la presidente -che vince su tutte è viva l’Italia». Al di là dei brutti ricordi che suscita l’espressione “la parola d’ordine”, ma a quale Italia si sarà riferita la Marcegaglia?
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