Da qualche giorno,
presso tutte le segreterie dei Comuni d’Italia, i cittadini possono sottoscrivere
il Progetto di Legge di iniziativa popolare sui Beni Comuni: io l’ho già fatto!
Il Progetto trae origine dai lavori della
Commissione presieduta dal giurista Stefano Rodotà che, nel 2007, fu incaricata
dall’allora Governo Prodi di redigere uno schema di disegno di legge delega per
la riforma del codice civile sui beni pubblici, distinguendo i Beni in Comuni,
Pubblici e Privati. I lavori della Commissione si conclusero nel febbraio del
2008 producendo una bozza di Disegno di Legge Delega che, pur essendo stato
incardinato in Senato su iniziativa della Regione Piemonte, non è stato mai
trasformato in legge anche per il mancato sostegno dei partiti politici.
L’elemento
centrale del lavoro della Commissione Rodotà è stata l’identificazione dei Beni
comuni ossia quella categoria di beni “che esprimono utilità funzionali all’esercizio
dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. I beni comuni
devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a
beneficio delle generazioni future”. Inoltre si volle dotare lo stesso
documento di una serie di esempi di Beni Comuni «i fiumi, i torrenti e le loro
sorgenti; i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi come definiti dalla legge,
le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le
nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la
fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali
e le altre zone paesaggistiche tutelate»
L’intenzione giuridica
della Commissione Rodotà è rimasta lettera morta per l’incapacità dei parlamentari
che non hanno compreso l’importanza della posta in gioco, neanche quando la
volontà popolare si è schierata - con il Referendum del 2011 - in difesa della
gestione pubblica dell’acqua quale, appunto, bene comune.
Ma a noi cittadini
il valore di questa iniziativa non può e non deve sfuggire perché proprio il
mancato riconoscimento, in termini giuridici, dei Beni Comuni e dei diritti che
ne derivano per la popolazione ha dato origine alla loro morte, nota anche come
la “tragedia dei beni comuni”; è proprio da questo disastro che negli anni sono
scaturite vere e proprie tragedie umane con decine di migliaia di morti
premature, altrettanti casi di tumore, aborti, malformazioni neonatali, etc.
Quello che viene chiamato inquinamento o, in termine economici, esternalità
negative non è altro che un appropriarsi dei beni comuni (aria, acqua, mare, risorse
ambientali) da parte di un’attività produttiva ai danni della popolazione che
vive e che vivrà in quel determinato territorio (e non solo) negando loro il
fondamentale diritto alla vita; lo sanno bene le popolazioni che abitano le
aree dei grandi poli siderurgici, come nel tarantino, o nei pressi di colossali
centrali a carbone come succede nel brindisino; oppure nelle aree intorno alla
raffineria di Gela e del siracusano. In tal senso Ugo Mattei, promotore
dell’iniziativa del Comitato Stefano Rodotà” e Vicepresidente dell’allora
Commissione Rodotà ci ricorda «l’acqua è un bene comune perché si trova libera
in natura e, come l’aria, presiede alla soddisfazione dello stesso diritto alla
vita».
Oggi grazie
all’impegno del Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni “Stefano
Rodotà” si riparla di Beni Comuni in un Progetto di Legge di iniziativa popolare
che andrà presentata in Parlamento. La sfida di questa iniziativa non sta solo
nel trovare le 50 mila firme necessarie, ma anche nel portare le questioni
ambientali e, con esse, l’importanza dei Beni Comuni al centro della
discussione politica, sociale ed economica. E così dovrà essere. Lo dobbiamo principalmente
ai nostri figli e a tutti coloro che verranno dopo di noi. Nella parte finale
del lavoro “Arbeit Macht Frei – storie di
una Taranto non detta” l’autrice intervista Cataldo, cameriere e padre di
una bambina, che all’indomani dovrà partecipare ad una manifestazione per la
chiusura del siderurgico, ed egli spiega che vi parteciperà perché:
“Ci andrò perché
Ilaria, mia figlia, tiene 4 anni.
E io, per lei, non
chiedo tanto.
Voglio solo che
deve essere libera.
Libera di
scegliere dove vivere. Libera di scegliere cosa fare.
Libera di giocare
con gli amici all’aria aperta.
Libera di
respirare.
E di farlo senza
avere paura.
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